NON ESAGERIAMO (Settembre 2005)

Sul Corriere del 13 Agosto, ho letto l'articolo di fondo del prof. Sartori, arguto, brillante, profondo. In una bella disquisizione e distinzione tra etica, economia e politica, sostiene - e non si può non convenirne - l'unicità della persona umana, sia che agisca come politico, sia come economista, sia in qualsivoglia altra veste.
        In un punto, però, mi ha lasciato perplesso, laddove, a sostegno della sua giusta asserzione, porta l'esempio di suo padre, scrivendo:
        "Mio padre era un industriale il cui stabilimento venne distrutto dal passaggio della guerra nel 1944. Lui si incaponì nel tentativo di ricostruirlo per non lasciare i suoi operai - circa 400, che conosceva uno per uno - sul lastrico. Quel tentativo non poteva riuscire e difatti fallì".
        A parte l'indiscussa moralità del padre (non so nemmeno che industria avesse), che cosa ha voluto dire? Che tutti gli imprenditori, piccoli e grandi, che hanno avuto il loro opificio distrutto dalla guerra, dovevano arrendersi e chiudere? Che tutti coloro - ed erano tanti - che in quelle condizioni, sono riusciti a rimettere su la baracca, magari pian pianino, magari con ansia e batticuore, magari con testardaggine, sono tutti disonesti? Non esageriamo: tale generalizzazione mi disturba, non riesco a crederla.
        E se si fosse trattato, semplicemente, di diversa fortuna? O di diversa capacità imprenditoriale? Sono convinto (ed anch'io ricordo la guerra ed il dopoguerra) che tante persone onestissime siano riuscite a riprendersi e tante persone altrettanto onestissime non ce l'abbiano fatta per i motivi più disparati, che nulla hanno a che vedere con la propria integrità morale (semmai, a volte, con quella altrui...).

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